Accedere al profilo social del partner è reato?

Accedere al profilo social del partner è reato?

Un uomo accedeva al profilo Facebook della moglie grazie al nome utente ed alla password utilizzati da quest’ultima, a lui noti da prima che la loro relazione si incrinasse.

Lo stesso aveva così potuto fotografare una chat intrattenuta dalla moglie con un altro uomo e poi cambiare la password, così da impedire alla stessa di accedere al social e cancellare ogni traccia della sua “scappatella”.

Accedere al profilo altrui potrebbe costare caro

E’ quanto accaduto in una recente vicenda giudiziaria. Ma oltre il danno anche la beffa: l’uomo è stato condannato per il reato di “accesso abusivo ad un sistema informatico” e la decisione è stata confermata in ben tre gradi di giudizio.

La pena a cui ci si espone è quella della reclusione (carcere) fino a 3 anni.

Questo perchè per sistema informatico va inteso un insieme di apparecchiature destinate a compiere una funzione utile all’uomo attraverso il ricorso a tecnologie informatiche. E senza dubbio l’account Facebook rientra tra questi. Nella medesima categoria rientrerebbero anche altri tipi di account come quello email, whatsapp o di instagram.

Il reato è configurabile inoltre (caso diverso da quello qui presentato) del soggetto che, anche se autorizzato ad accedere al sistema, vi si introduca per raccogliere dati protetti per fini estranei alle ragioni per cui possiede le chiavi di accesso (password), utilizzando dunque il sistema per scopi diversi da quelli consentiti.

APPROFONDIMENTO

Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni:
1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;
2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;
3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.

Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.

Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio.

COME DIFENDERSI

Innanzitutto, tranne che nei casi di reato aggravato (cioè commesso o da pubblico ufficiale o con uso di violenza o …vedesi approfondimento) sarà onere del soggetto offeso provvedere a sporgere querela. E si badi bene: il termine per proporre la querela è di 3 mesi dal fatto. Oltre tale termine il diritto non può essere esercitato e nessuna tutela penale è più richiedibile.

Discorso diverso è la tutela civile: se si è subito un danno in conseguenza dal fatto, sarà possibile richiedere il risarcimento anche dopo i 3 mesi. Quale sarà l’entità del risarcimento? Dipende dalla quantità e qualità dei danni sofferti!

E’ auspicabile però, in ogni caso, sottoporre la questione al proprio legale di fiducia quanto prima. Trascorso troppo tempo si potrebbe addirittura incorrere in prescrizioni, che di fatto renderebbero ogni azione quasi certamente inutile.